2012 – Tornati!!! Testimonianze dal viaggio

Finalmente possiamo scrivere qualche impressione sulla nostra esperienza in terra ecuatoriana … tre settimane in Ecuador: non sembra vero, ma sono passate in un lampo, difficile dipanare il guazzabuglio di ricordi ed emozioni che io (Alberto) e Marco ci portiamo nel cuore … proviamoci!
  • Arrivo in Ecuador
 

Appena arrivati all’aeroporto di Guayaquil, dopo un viaggio interminabile (quasi 20 ore, calcolando anche il fuso orario), in una calda serata di fine estate, siamo accolti dal dottor Cristian, medico della Fondazione, e da Suor Mary, entrambi contentissimi di vederci;

caricati i bagagli sul pick-up, si parte alla volta di Manta, dove, arrivati a destinazione – la Casa delle suore (o più semplicemente, la Casa) – abbiamo incontrato il resto della “squadra”: Suor Venus e Suor Donata.

Un’accoglienza davvero calorosa: rifocillati con succo d’ananas (“piña”, come la chiamano da quelle parti) e una buona dormita, siamo pronti per affrontare la vita di missione.
  • Vita a Santa Martha e AbDon Calderón

A Santha Martha e AbDon Calderón c’è sempre molto da fare: le suore, per essere presenti in tutta la comunità, hanno bisogno di spostamenti frequenti, così io mi offro volontario per guidare il “carro“, un vecchio fuoristrada Toyota che hai suoi anni, ma svolge ancora bene il suo compito.

Le strade sono un labirinto pieno di trabocchetti, tra buche, macchine e moto che spuntano all’improvviso, indicazioni pressochè inesistenti, e dopo un rapido giro ci si rende conto abbastanza in fretta della realtà del posto: case con tetti di lamiera, fili elettrici ammassati un po’ a caso ed assai poco sicuri, costruzioni diroccate con lamiere e pezzi vari sporgenti …

Il quadro diventa poi ancor più chiaro quando, ad AbDon Calderón, entriamo in una casa: mobilia praticamente assente, spesso solo un tavolo e un letto, il televisore unico elettrodomestico, che deriva la sua corrente elettrica dall’illuminazione pubblica, insieme con una lampadina che a stento rischiara l’ambiente, un pavimento in terra battuta dove scorazzano liberamente animali di tutti i tipi.

Sor Donata si mostra subito nella sua veste principale: una donna di polso, energica, la guida della comunità; è lei la coordinatrice della missione, è lei che segue le attività

quotidiane della Casa e delle chiese di Santa Martha e AbDon Calderón, è lei che si adopera attivamente nella vita cristiana locale, a stretto contatto con la diocesi e i due sacerdoti che vi operano (Padre Giovanni e Padre Freddy).

Una delle sue attività a cui noi abbiamo assistito è quella presso la Caritas locale, un capannone dove avvengono gli incontri con le famiglie povere della zona: c’è l’aspetto assistenziale, certamente, vengono distribuiti gli aiuti – essenzialmente alimentari – alle famiglie più bisognose, ma c’è anche e soprattutto l’aspetto educativo-cristiano; Suor Donata si fa sentire e con ardore apostolico cerca di inculcare nella gente i valori cristiani e umani, come la collaborazione, l’aiuto reciproco e la volontà di fare, di operare attivamente con le proprie forze, di scuotersi dalla rassegnazione ed impegnarsi per essere uomini e donne migliori.

Come sempre, come ci ricorda il vangelo nella parabola del seminatore, Suor Donata prepara il terreno e sparge il seme nel modo migliore, però il frutto non sempre è subito visibile, ma la speranza dei risultati e la fede nella Provvidenza la aiuta a continuare nel suo apostolato. Noi, testimoni di questi eventi, parliamo e ci facciamo conoscere, e diventiamo subito esempio pratico dell’insegnamento di Suor Donata, un esempio del “fare”, dell'”aiuto”, sicchè anche la nostra sola presenza serve da stimolo per la gente a seguire l’esempio e rimboccarsi le maniche … che bella sensazione!

La vita nel barrio è una vita comunitaria e la presenza della comunità si percepisce dal continuo viavai di persone che affollano la Casa e organizzano le diverse attività soprattutto legate alla catechesi dei giovani ed alla preparazione di eventi parrocchiali, come i matrimoni, l’arrivo dell’avvento e delle feste natalizie, ma anche la semplice messa domenicale, dove un gruppo di giovani prepara i canti e anima la celebrazione.

La costante universale di questo luogo, che balza subito agli occhi, è il calore umano e il sorriso che ti accoglie sempre, e ti avvolge come una coperta confortevole, ti fa scordare, spesso, di essere in un paese in via di sviluppo, con i suoi problemi e le sue difficoltà nel tentare di “emergere”; sorrisi e accoglienza che si notano sempre, in giro per le strade, entrando nelle case e relazionandosi con le famiglie, sorrisi gratuiti, di cuore, che annullano ogni distanza sociale e riportano tutti allo stesso piano, quello dell’essere umano.
Però le distanze ci sono, come c’è questo senso di precarietà e di angoscia mista a speranza, e tutto questo lo si vede camminando per le strade del barrio AbDon Calderón, uno dei più poveri della città, la vera “terra di missione”. Qui, grazie alla tenacia delle suore ed agli aiuti locali, è sorta una parrocchia dove giovani e adulti condividono eseperienze di vita cristiana seguiti e istruiti dalle suore stesse e dal parroco. La parrocchia è essenzialmente autogestita e i fondi per le varie opere provengono essenzialmente da attività di raccolta, come le “rifas” (lotterie), i bingo e la vendita di prodotti locali .. e in questo modo la parrocchia è cresciuta, come ci racconta Suor Donata, sicchè la chiesa, da semplice capanna di legno, si è trasformata in una costruzione in muratura, addirittura con un campanile!

Purtroppo il barrio è anche centro di storie tristi, come quelle delle famiglie povere, in condizioni di vita spesso critiche, dove spesso i genitori sono assenti, i bimbi affidati a fratelli e sorelle, ragazzi e ragazze costretti a crescere troppo in fretta; non è raro vedere anche ragazze madri, molto giovani, che abbandonano l’istruzione per poter accudire i propri figli e spesso sono senza lavoro.

Vi sono anche esempi di situazioni dove, alla povertà, si aggiunge la piaga della malattia, come nel caso della famiglia di un ragazzo idrocefalo, la quale deve provvedere alle necessità del ragazzo vivendo in una casa concessa loro “in prestito”, con l’incubo di doversene andare da un momento all’altro … oppure altre famiglie costrette spesso a non curare i propri figli a causa dell’elevato costo della sanità in Ecuador, affidata per lo più a cliniche private.

Qui, inoltre, le malattie sono all’ordine del giorno, dal momento che uno dei problemi principali è proprio la scarsa igiene: come si diceva prima, abitazioni prive di pavimento, tetti in lamiera spesso arrugginita, gli animali che condividono gli spazi con le persone, manca l’acqua corrente, i bimbi corrono e giocano scalzi in ambienti senza alcuna sicurezza, il cibo viene conservato in maniera approssimativa, spesso senza protezioni da insetti e altri animali, i rifiuti vengono buttati dove capita, trasformando molti terreni in enormi “basureri” (immondezzai) e inquinando terra e acqua.
Insomma, uno scenario difficile sia a livello sociale, culturale, sia a livello ambientale quello in cui si trovano ad operare quotidianamente le suore di Manta, ma questo non le fa desistere, anzi, sembra spronarle ancor di più ad aumentare gli sforzi. Spesso Suor Donata è stanca, si legge sul suo volto il desiderio di un po’ di riposo, ma sono solo attimi, la sua passione per i poveri in difficoltà e per le necessità della missione la porta a guardare sempre avanti, con fiducia, seguendo la strada che Dio ha tracciato per lei.
Ma in questo scenario a volte drammatico, possiamo assistere anche a momenti di festa, come la messa domenicale, la celebrazione dei matrimoni e la festa dei 10 anni di permanenza delle Suore Cottolenghine a Manta; chi caratterizza questi momenti di gioia sono soprattutto i giovani, che guardano alla vita con più ottimismo e che le suore sperano di valorizzare perchè diventino il vero futuro, sano e vitale, della comunità stessa.

  • Vita alla Fondazione “Cottolengo”
Finora abbiamo parlato della vita nel barrio, ma una seconda attività, non meno impegnativa, ci ha visto partecipi in prima persona: quella nella Fondazione Cottolengo.
Essa si presenta come un’oasi nel deserto, il deserto della povertà che caratterizza il barrio “Los Geranios” dove sorge la struttura: strade impervie, poco asfalto e molte buche, un campetto da calcio improvvisato dove giocano alcuni bimbi dai vestiti sgualciti e dai piedi impolverati, che raramente hanno visto un paio di scarpe; anche qui, come ad AbDon Calderon, case “raffazzonate”, alcune più simili a palafitte, alcune con pareti di legno, poco più che piccoli capanni dove vivono famiglie numerose e spesso indigenti.
Qui, dove curarsi è un lusso per chiunque, gli anziani malati sono proprio “gli ultimi tra gli ultimi”, coloro che devono essere assistiti costantemente, ma che, non potendoselo permettere, sono costretti a trascorrere tra stenti e solitudine la loro ultima parte di esistenza. La Fondazione dunque nasce per la possibilità di una vita migliore, più dignitosa e umana, a queste persone, e ai malati terminal di tumore e a tutti i poveri e coloro che necessitano di cure di primo soccorso, come alternativa ad ospedali pubblici senza risorse.
La nostra attività alla Fondazione, come volontari, è molto varia: Marco, avendo competenze sanitarie, si mette subito a disposizione del medico, aiutandolo nelle attività ospedaliere
e di educazione alla salute e alla prevenzione come previsto dal progetto regionale di prevenzione dell’ AIDS (motivo principale del suo volontariato sanitario); io invece noto subito l’assenza di un apparato di segreteria, perciò metto a disposizione le mie competenze informatiche e lavorative per aiutare nelle attività burocratiche e amministrative che altrimenti dovrebbero essere assolte dallo stesso dottore e da Suor Mary; essi, infatti, sono le uniche persone in grado di occuparsene, ma hanno contemporaneamente sulle loro spalle la gestione dei malati (il medico) e dell’intera struttura (Suor Mary) e, essendo i malati e gli ospiti della struttura la priorità, spesso si tralasciano queste pur importanti atività.
Poi, ovviamente, c’è l’assistenza ai malati, l’accompagnamento e l’aiuto durante il il pranzo, la possibilità di scambiare con loro due parole e momen-ti di ilarità, quando la mia scarsa conoscenza dello spagnolo mi porta a dire qualche strafalcione! … L’atmosfera, comunque, è sempre allegra, anche in mezzo al dramma della malattia, perchè un’atmosfera positiva è di enorme aiuto tanto al morale degli “addetti ai lavori” (gli operatori sanitari) quanto al morale dei malati stessi, che si sentono così parte integrante della comunità. 
Ma le attività non finiscono qui: ci sono i contatti con i fornitori e la gestione degli aiuti che arrivano dalle donazioni di Provvidenza, particolarmente abbondanti durante la nostra permanenza, e poi gli acquisti quotidiani, che richiedono un viavai continuo con la macchina verso il centro di Manta, che dista qualche chilometro.
Infine Marco è stato anche coinvolto nei colloqui con il personale sanitario per la gestione delle attività ed anche nell’assunzione di un nuovo operatore, in virtù della sua esperienza lavorativa come assistente sanitario.
 Alla fine, abbiamo anche potuto vedere i frutti di tutti gli aiuti che abbiamo portato dall’Italia grazie ai numerosi benefattori:
    • opere di ristrutturazione, che hanno mitigato in parte i danni dell’alluvione di inizio 2012 (alcune ancora non sono state terminate, sempre per mancanza di fondi!)

    • installazione di dispositivi volti ad aumentare la sicurezza, come un videocitofono e il movimento elettrico per il portone di ingresso, in modo da controllare a livello centralizzato l’accesso alla struttura ed evitare così che entrino malintenzionati (e purtroppo ce ne sono molti qui, essendo la criminalità legata a doppio filo con la povertà);

    • acquisto di lenzuola per i letti e materiale sanitario nuovo (essenzialmente presidi medici, materiale di consumo, divise per gli operatori)

      creazione di una stazione centralizzata per l’acqua calda, un’opera che ha consentito la ristrutturazione di 14 bagni, per dare ai malati, finalmente, la possibiltà di un bagno o una doccia calda.

 Opere importanti, certo, frutto di grande generosità … ma il risultato ne vale la pena: vedere sorrisi pieni di speranza e gratitudine sui volti di persone che si sentono come se qualcuno avesse ridato loro la vita, davvero non ha prezzo .. E non ha prezzo per noi come anche per tutti gli operatori che lavorano nella Fondazione, appassionati al loro lavoro nonostante le difficoltà: dalla cucina, dove troviamo Dexi, che coordina i cuochi e non ci fa mai mancare tutte le mattine una buona dose di “jugo de fruta” (succo di frutta), alla lavanderia, dove – purtroppo con pochi elettrodomestici – le operatrici provvedono ogni giorno alla biancheria di tutti, dagli operatori sanitari, che seguono i malati con dedizione durante tutta la giornata, sino al personale impiegato nelle pulizie, come Kenia, la responsabile, che mantiene davvero alti i livelli di igiene in tutti i padiglioni.
Insomma, la vita nella fondazione è sempre movimentata e nessuno si risparmia nel suo lavoro, perciò è bello e stimolante per noi volontari condividere tutto questo, anche se per poco tempo, e constatare come nulla venga trascurato: alla cura del corpo si aggiunge infatti la cura “dell’anima”, garantita sia dalla presenza di Suor Mary e Suor Venus, che accompagnano i malati nella preghiera, sia dalla messa settimanale del giovedì, celebrata in una cappella appositamente attrezzata per gli infermi in carrozzina; anche la messa viene celebrata in un’atmosfera festosa, con Melissa, operatrice sanitaria e studente di Psicologia, che accompagna con la chitarra i canti animati da un gruppo di operatori. Quindi, per i malati, proprio come essere in famiglia!!
  • Esmeraldas
L’esperienza di quest’anno, però, non poteva esaurirsi a Manta: grazie all’insistenza di quella che possiamo senza dubbio considerare la nostra “GUIDA SPIRITUALE” per le missioni in Ecuador, suor Piera del Pero (che purtroppo recentemente ci ha lasciato per ricongiungersi al nostro Padre Celeste) abbiamo trovato il tempo per una “fuga” ad Esmeraldas, letteralmente “città degli smeraldi”, ma praticamente una delle zone costiere più povere dell’Ecuador.
Qui sorge un’enclave di persone con origine afro-americana, le quali ci lasciano un po’ spiazzati al nostro arrivo: sembra di essere nel cuore dell’Africa, con la sola particolarità della parlata spagnola. Ciò che colpisce maggiormente è la musica, il cuore pulsante della città: incessante durante tutto il giorno e tutta la notte, la musica insieme all’alcol “aiuta” la gente a dimenticare i problemi, che sono tanti ed essenzialmente legati al narcotraffico (prostituzione, criminalità, perdita di valori umani e spirituali, degradazione sociale).
In questo ambiente opera una comunità di tre suore, al momento tutte italiane, che per due giorni ci hanno accolto e fatto sentire un po “a casa”.
Suor Alda, la decana della Casa, ci ricorda come ora tutto è cambiato rispetto al loro arrivo, quando la missione era davvero un’esperienza “di frontiera, in cui si rischiava addirittura la vita!
Suor Anna, ostetrica, ci racconta di come anche qui le condizioni della sanità pubblica sia disastrosa e come invece ci sia una quantità enorme di gente che necessita di cure; per questo è stato aperto un dispensario farmaceutico, gestito da Suor Anna stessa, che fornisce medicinali e aiuti di primo soccorso alla popolazione più povera.
Suor Giusy, infine, la più giovane del gruppo, si occupa soprattutto della parte più importante e preziosa per il futuro della città: i bimbi e i giovani; ci ricorda di come Suor Piera abbia lottato molto e si sia spesa perchè questi giovani avesssero un futuro diverso dalla strada e dalla droga, potessero essere istruiti ed educati secondo valori cristiani, per ricostruire una “cultura dell’uomo”.
Così sono nati la scuola primaria, che accompagna i bambini nel loro corso di studi per 10 anni, e un asilo, il “Jardín FiscoMisional San José B. Cottolengo“. Suor Giusy ci coinvolge nella visita di queste due strutture e  ci permette di renderci conto di quanti siano i bambini e ragazzi di tutte le età che le frequentano: l’emozione ha preso il sopravvento quando ci siamo dovuti presentare, davanti a quelle centinaia di piccoli occhi incuriositi che si meravigliavano pensando al viaggio che abbiamo dovuto fare per giungere sin lì … e poi gli abbracci e i sorrisi dei piccoli ospiti del “jardin“, i quali, dopo aver cantato con orgoglio il loro inno, ci hanno letteralmente “sommersi” con l’irruenza tipica della loro età.
Insomma, un’esperienza piena ed entusiasmante, anche in una città dall’apparenza così dura e, diciamolo pure, pericolosa, dove però, anche qui, la Provvidenza ha portato il suo segno e sostiene costantemente le suore nella loro missione quotidiana.
  • Vita di comunità a Santa Martha: gli ultimi giorni
Terminata l’esperienza ad Esmeraldas, ci aspettano gli ultimi giorni da trascorrere nella “rassicurante” Manta, quella che ormai possiamo definire la “nostra” comunità: ci sentiamo un po’ adottati da tutti, dalle suore, ma soprattutto dal gruppo di giovani che gravitano intorno alla Casa, ragazzi e ragazze che dedicano parte del loro tempo a trasmettere ai più giovani ciò che loro stessi hanno imparato dalle suore, e con che passione!
Accanto ad una fede viva, si percepisce la necessità di afffrancarsi da una cultura che dà poco spazio a valori quali la famiglia, nel senso cristiano del termine, la collaborazione e la condivisione. Le nuove generazioni, ora, hanno nuovi punti di riferimento oltre alle suore, ovvero persone locali, con la stessa matrice culturale, che però sono esempio di vita nuova.
È inevitabile, quindi, che nascano un’amcizia, un legame di quelli che nemmeno 9000 km di distanza possono spezzare; queste persone si chiamano Miguel Angel, Jorge, Marcela, Mirian, per fare qualche nome …  ma anche Melissa, Tania, Jennifer, Victoria e molti altri ancora, persone splendide che io e Marco portiamo nel cuore e siamo pronti a rivedere, se Dio vorrà, al più presto: ormai in Ecuador abbiamo trovato una seconda casa, una seconda famiglia e come si fa in tutte le migliori famiglie, continueremo la nostra opera di aiuto e sostegno, anche a distanza, perchè il legame che si è formato ormai è indissolubile.
E allora, arrivederci Ecuador! O, come si dice da quelle parti, ¡Hasta pronto!
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